Squadra

Lorenzo Seghezzi

Fotografia: Pietro Agostini

Lorenzo ormai è un’amica vera ormai da anni, cuce e ricuce robe che indosso senza dare istruzioni né fare domande. Ormai mi ha capita, anzi, diciamo che rappresenta un po’ la mia linfa vitale. Spesso dalle sue creazioni mi vengono idee su perfo da interpretare o momenti da organizzare ad hoc per indossarle. Per QE ha realizzato tutti i miei look, ha fatto la sylist per i video e, in generale, ha partecipato ad ogni fase creativa del progetto.

Quando hai capito che volevi fare il designer?

Ho capito di voler fare il designer quando ero studente, durante il corso triennale di fashion design che ho frequentato subito dopo il liceo. Quando sei studente gli istituti tendono a farti credere che per diventare designer servano prima anni di stage e schiavitù varie. Per carità, in molti casi è così. Io mi sono trovato ad essere neolaureato e pieno di ambizioni in piena pandemia COVID, lì ho capito che oltre che volerlo avevo già gli strumenti per diventarlo.

 

Quali sono i codici che ti permettono di parlare del mondo Queer attraverso la sartoria?

Cerco di farlo attraverso l’enfatizzazione del corpo di chi indosserà il capo, alternando alle costrizioni ispirate dal mondo della corsetteria a volumi esagerati, più morbidi e liberi. La nudità, le trasparenze e il vedo-non-vedo sono un altro modo di rendere omaggio ai corpi, nelle loro diversità chiaramente. Tutto ciò viene coronato e reso più autentico da, grande riguardo che ho per il su misura, mezzo fondamentale per rendere un brand veramente inclusivo e alla portata di tuttə.

 

Da cosa nasce la passione per la corsetteria?

Nasce dalla passione che ho avuto fin da adolescente per il mondo drag. Sono cresciuto circondato da performer la cui ambizione per il vitino da vespa era una tematica che si affrontava quotidianamente. Da lì, quando ho iniziato a studiare sartoria e design, ho iniziato ad essere sempre più interessato all’aspetto tecnico di confezione di questo genere di capi così complessi e affascinanti. E così, da completo autodidatta, ho iniziato a studiare i corsetti che indossavano lə miə amichə e a cercare di capirne il funzionamento.

 

Quali sono le differenze tra il creare per una tua esigenza e il creare per il mondo drag?

Le manie di protagonismo altrui!

 

Mi permetto di dire che la tua non è “moda”. Come si inserisce o accosta il tuo lavoro nel mondo del fashion?

“Moda” è un termine veramente generico, io sono dell’idea che qualsiasi tipo di espressione (verbale, estetica, abitudinaria ecc) in quanto, per forza di cose, influenzata dal mondo esterno sia una moda. Nelle istituzioni del fashion nazionali il mio lavoro si inserisce in modo un po’ superficiale, non ho ancora i mezzi per poter diventare un brand istituzionale. Non so nemmeno se è di mio interesse, almeno per ora.
Cerco di dare le stesse energie all’aspetto business e a quello creativo, intimo e di espressione personale del mio lavoro.

 

Com’è la vita di un giovane fashion designer oggi a Milano?

Costosa!

 

Come è vista la tua ricerca dagli stylist?

Tutti mi vogliono ma nessuno mi paga. Come, purtroppo, è normale che sia. Il fashion system è malato, purtroppo. Io per fortuna ho abbastanza confidence e stima per il mio lavoro per riuscire a dire di no a certe richieste assurde e avvilenti. Non riesco a capire perché su un set in cui l’ultimo anello della catena alimentare prende come minimo 200€ a giornata io, che fornisco pezzi cuciti a mano grazie ad anni di studi, sacrifici, notti insonni e via dicendo, debba lavorare gratuitamente. Non me lo spiego.

 

Spiegaci il tuo approccio nel realizzare gli outfit e gli accessori per la Croce nel progetto QE.

Allora, di solito il mio approccio nella realizzazione dei pezzi per la Croce è molto più legato al caso, ai materiali che ho disponibili in quel momento e alle esigenze di comodità della Croce (che ricordiamo, oltre a fare la pagliaccia sul palco gestisce tutti gli sbattimenti durante la serata e quindi non può essere corsettata, insalamata e con stascichi di due metri).
Per Queer Elaison abbiamo formato un team sia creativo che esecutivo, cercando di coordinare tutto l’immaginario estetico a trecentosessanta gradi e coordinando i look con le scenografie, gli effetti e le composizioni fotografiche, i look delle eventuali comparse ecc.
Questo tipo di approccio è nuovo per me, che purtroppo sono abituato a lavorare da solo, e sta rendendo l’esperienza ancora più bella. Non c’è nulla di più coinvolgente del lavorare con lə propriə amichə.
Per ogni video stiamo costruendo storie, immaginari e personaggi e chiaramente la Croce, che sia protagonista assoluta o meno nei video, non fa eccezione. Dopo averci ragionato con tutto il team di solito mi arriva un moodboard in cui Croce si sfoga nella ricerca delle references più assurde, che poi rielaboro secondo il nostro (e, sottolineo, nostro) gusto.

 

Quale prevedi che sia il futuro della tua ricerca stilistica e professionale?

Spero tanto di riuscire a creare una realtà che possa coinvolgere almeno altre due o tre persone che mi aiutino direttamente nella confezione, prototipazione ecc in modo che il mio brand possa evolversi e diventare più grande in modo che soddisfi tutte le mie ambizioni. Vorrei potermi concentrare sull’haute couture, sulla confezione di pezzi ambiziosi e complessi che richiedano ore e ore di lavoro senza dover pensare a come poter pagare le bollette o l’abbonamento DHL a fine mese. Tutto ciò, chiaramente, senza compromettere la mia estetica e soprattutto i miei ideali lavorativi, morali e politici.

Fotografia: Pietro Agostini
Nella foto: Angel McQueen
Location: The Jack Stupid

Fotografia: Alistair Taylor Young
Nella foto: Kore Vadalon
Styling: Michela Buratti
Pubblicata su: Mia Le Journal

Fotografia: Pietro Agostini
Nella foto: Trysha, Trape

Squadra

Lorenzo Seghezzi

Fotografia: Pietro Agostini

Lorenzo ormai è un’amica vera ormai da anni, cuce e ricuce robe che indosso senza dare istruzioni né fare domande. Ormai mi ha capita, anzi, diciamo che rappresenta un po’ la mia linfa vitale. Spesso dalle sue creazioni mi vengono idee su perfo da interpretare o momenti da organizzare ad hoc per indossarle. Per QE ha realizzato tutti i miei look, ha fatto la sylist per i video e, in generale, ha partecipato ad ogni fase creativa del progetto.

Quando hai capito che volevi fare il designer?

Ho capito di voler fare il designer quando ero studente, durante il corso triennale di fashion design che ho frequentato subito dopo il liceo. Quando sei studente gli istituti tendono a farti credere che per diventare designer servano prima anni di stage e schiavitù varie. Per carità, in molti casi è così. Io mi sono trovato ad essere neolaureato e pieno di ambizioni in piena pandemia COVID, lì ho capito che oltre che volerlo avevo già gli strumenti per diventarlo.

 

Quali sono i codici che ti permettono di parlare del mondo Queer attraverso la sartoria?

Cerco di farlo attraverso l’enfatizzazione del corpo di chi indosserà il capo, alternando alle costrizioni ispirate dal mondo della corsetteria a volumi esagerati, più morbidi e liberi. La nudità, le trasparenze e il vedo-non-vedo sono un altro modo di rendere omaggio ai corpi, nelle loro diversità chiaramente. Tutto ciò viene coronato e reso più autentico da, grande riguardo che ho per il su misura, mezzo fondamentale per rendere un brand veramente inclusivo e alla portata di tuttə.

 

Da cosa nasce la passione per la corsetteria?

Nasce dalla passione che ho avuto fin da adolescente per il mondo drag. Sono cresciuto circondato da performer la cui ambizione per il vitino da vespa era una tematica che si affrontava quotidianamente. Da lì, quando ho iniziato a studiare sartoria e design, ho iniziato ad essere sempre più interessato all’aspetto tecnico di confezione di questo genere di capi così complessi e affascinanti. E così, da completo autodidatta, ho iniziato a studiare i corsetti che indossavano lə miə amichə e a cercare di capirne il funzionamento.

 

Quali sono le differenze tra il creare per una tua esigenza e il creare per il mondo drag?

Le manie di protagonismo altrui!

 

Mi permetto di dire che la tua non è “moda”. Come si inserisce o accosta il tuo lavoro nel mondo del fashion?

“Moda” è un termine veramente generico, io sono dell’idea che qualsiasi tipo di espressione (verbale, estetica, abitudinaria ecc) in quanto, per forza di cose, influenzata dal mondo esterno sia una moda. Nelle istituzioni del fashion nazionali il mio lavoro si inserisce in modo un po’ superficiale, non ho ancora i mezzi per poter diventare un brand istituzionale. Non so nemmeno se è di mio interesse, almeno per ora.
Cerco di dare le stesse energie all’aspetto business e a quello creativo, intimo e di espressione personale del mio lavoro.

 

Com’è la vita di un giovane fashion designer oggi a Milano?

Costosa!

 

Come è vista la tua ricerca dagli stylist?

Tutti mi vogliono ma nessuno mi paga. Come, purtroppo, è normale che sia. Il fashion system è malato, purtroppo. Io per fortuna ho abbastanza confidence e stima per il mio lavoro per riuscire a dire di no a certe richieste assurde e avvilenti. Non riesco a capire perché su un set in cui l’ultimo anello della catena alimentare prende come minimo 200€ a giornata io, che fornisco pezzi cuciti a mano grazie ad anni di studi, sacrifici, notti insonni e via dicendo, debba lavorare gratuitamente. Non me lo spiego.

 

Spiegaci il tuo approccio nel realizzare gli outfit e gli accessori per la Croce nel progetto QE.

Allora, di solito il mio approccio nella realizzazione dei pezzi per la Croce è molto più legato al caso, ai materiali che ho disponibili in quel momento e alle esigenze di comodità della Croce (che ricordiamo, oltre a fare la pagliaccia sul palco gestisce tutti gli sbattimenti durante la serata e quindi non può essere corsettata, insalamata e con stascichi di due metri).
Per Queer Elaison abbiamo formato un team sia creativo che esecutivo, cercando di coordinare tutto l’immaginario estetico a trecentosessanta gradi e coordinando i look con le scenografie, gli effetti e le composizioni fotografiche, i look delle eventuali comparse ecc.
Questo tipo di approccio è nuovo per me, che purtroppo sono abituato a lavorare da solo, e sta rendendo l’esperienza ancora più bella. Non c’è nulla di più coinvolgente del lavorare con lə propriə amichə.
Per ogni video stiamo costruendo storie, immaginari e personaggi e chiaramente la Croce, che sia protagonista assoluta o meno nei video, non fa eccezione. Dopo averci ragionato con tutto il team di solito mi arriva un moodboard in cui Croce si sfoga nella ricerca delle references più assurde, che poi rielaboro secondo il nostro (e, sottolineo, nostro) gusto.

 

Quale prevedi che sia il futuro della tua ricerca stilistica e professionale?

Spero tanto di riuscire a creare una realtà che possa coinvolgere almeno altre due o tre persone che mi aiutino direttamente nella confezione, prototipazione ecc in modo che il mio brand possa evolversi e diventare più grande in modo che soddisfi tutte le mie ambizioni. Vorrei potermi concentrare sull’haute couture, sulla confezione di pezzi ambiziosi e complessi che richiedano ore e ore di lavoro senza dover pensare a come poter pagare le bollette o l’abbonamento DHL a fine mese. Tutto ciò, chiaramente, senza compromettere la mia estetica e soprattutto i miei ideali lavorativi, morali e politici.

Fotografia: Pietro Agostini
Nella foto: Angel McQueen
Location: The Jack Stupid

Fotografia: Alistair Taylor Young
Nella foto: Kore Vadalon
Styling: Michela Buratti
Pubblicata su: Mia Le Journal

Fotografia: Pietro Agostini
Nella foto: Trysha, Trape